The Tribe

The Tribe, film ucraino presentato al Festival del cinema di Cannes e vincitore del Milano Film Festival 2014, non è un film facile, sia per il tema trattato, sia per la scelta di utilizzare unicamente il linguaggio dei segni senza sottotitoli e musica.

Sergey, giovane sordomuto (se non conoscete il linguaggio dei segni l’unico modo per sapere i nomi dei protagonisti è andare a sbirciare nei credits del film), giunge nell’istituto che ospita ragazzi con il suo stesso problema. Immediatamente viene accolto da un gruppo di studenti a capo della banda che detta legge nel collegio. Fin dai primi giorni verrà sottoposto a violenti e pericolosi rituali di iniziazione, da parte di coloro che gestiscono una serie di attività criminali, che vanno dai piccoli furti sui treni alla prostituzione delle studentesse. Le ragazze tutte le sere vengono accompagnate nei parcheggi, dove si fermano i camionisti per la notte, e aiutate a trovare nuovi clienti. Sergey si innamora di Anna, una delle giovani che si prostituisce, ma non sa che presto sarà mandata in Italia.

The tribe locandina

Myroslav Slaboshpytskiy, al suo primo lungometraggio, realizza un film insolito che può essere compreso da chiunque anche se non viene detta nemmeno una parola. Questo è il suo punto di forza, ma anche la sua debolezza perché, se da un lato risulta come qualcosa di nuovo e un’impresa ben riuscita, dall’altro, il silenzio che accompagna tutta la pellicola, è poco naturale e viene percepito come forzato e artificioso. Per tutto il film, i rumori e i suoni, giocano un ruolo fondamentale, facendo da colonna sonora e diventando elementi essenziali utili allo spettatore per orientarsi in un ambiente cinematografico a lui poco famigliare. Non è un omaggio al cinema muto come The Artist (eh no… qui non ci son mica le didascalie, tutto è affidato ai gesti e alle espressioni dei protagonisti) e nemmeno una storia sui sordomuti che cerca di portarti all’interno del loro mondo per riuscire comprenderlo. Se vogliamo, The Tribe, è più vicino ai film di Lars Von Trier, mi ha ricordato infatti DogvilleManderlay. Invece di privare lo spettatore di tutto il contesto in cui si svolge la storia, portando al minimo la scenografia, è la voce dei protagonisti a essere eliminata e ridotta a soli pochi suoni. Anna, Sergey e tutti i loro compagni si esprimono unicamente attraverso i gesti e, anche quando sono sopraffatti dalla rabbia, hanno paura, fanno sesso (non mancano scene veramente audaci) e in qualsiasi altra situazione, non emettono nemmeno un sibilo o un lieve accenno di voce. In questo contesto, il suono prodotto dalle urla soffocate di Anna, in una delle scene più forti del film in cui, il suo pianto straziante genera solo gemiti contenuti, diventano come grida assordanti. Non si sentono, ma alle orecchie delle spettatore, giungono amplificate facendogli vivere la sua stessa sofferenza. Sergey e Anna vivono all’interno di un’enclave governata dai più forti, dove vigono leggi ferree non scritte che si è costretti a seguire per sopravvivere. Un mondo a parte, corrotto e violento, dove regna il silenzio ma non la pace e l’Italia rappresenta la speranza di libertà (siam messi bene!). The Tribe fa riflettere, fa star male, può stancare (132 minuti senza nemmeno una parola possono essere pesanti) e non piacere, ma sicuramente non lascia indifferenti.

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Una risposta a The Tribe

  1. Paladina della giustizia ha detto:

    Non volevo proprio vederlo poi ho letto la tua recensione e ho deciso di provare. Non mi sono pentita anzi ti devo proprio ringraziare perché mi è piaciuto tanto! Come dici tu non è un film facile e due ore con solo il linguaggio dei segni senza nemmeno una parola sono un po’ pesanti, ma ne è valsa la pena. The tribe è un pugno nello stomaco che merita assolutamente di essere visto!

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